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IL DNA DELLO STORYTELLING e l’importanza di avere UNA STORIA DA RACCONTARE

Parliamo di storytelling, un termine e una pratica che oggi è al centro del nostro modo di comunicare: chi sa resistere al fascino di una bella storia, di una narrazione fluida ed appassionante?

Il culto della narrazione inizia già con gli antichi greci, un popolo davvero invidiabile: sognatori eppure dotati di senso pratico, ironici, spensierati, ma allo stesso tempo attratti morbosamente dalle tragedie umane: da scienziati sapevano coniugare intuito e rigore, erano governanti pietosi, mai commiserevoli, guerrieri e poeti senza pari, in grado di fermare alle Termopili il possente esercito persiano con una sola frase. Ma avevano un punto debole, molto debole: non riuscivano a resistere al fascino di una storia ben raccontata. Anche se era una balla. Erano capaci di assolvere uno che aveva torto marcio, anche se era un criminale, anche davanti a una valanga di evidenze, se l’arringa difensiva era intensa, commovente, grammaticalmente raffinata, sublime nell’evocare i sentimenti umani.

E non si tratta solo di relazioni interpersonali o di social network: lo storytelling appare sempre più come una chiave in grado di funzionare laddove la pura tecnica mostra i suoi limiti, che si tratti di “governance” aziendale o di ricerca scientifica. Fino a non molto tempo fa nei laboratori si insegnava che prima di tutto contavano i risultati, che una teoria venisse innanzitutto verificata, che un esperimento producesse i risultati sperati. Il come scriverlo in una tesi di laurea o in un articolo scientifico era un fatto secondario, veniva dopo”, a bocce ferme, quando si era sicuri di avere la ragione dalla propria parte. Divulgare al grande pubblico poi era considerato un passatempo o poco più. In una sorta di ubriacatura da metodo Galileiano ci si dimenticava che il grande pisano era anche uno storyteller, un narratore di prim’ordine, capace di scrivere dialoghi ben sceneggiati. Perché la funzione originaria della narrazione è di essere uno strumento di conoscenza, non un orpello letterario.

L’uso dei social network da parte degli astronauti ha cambiato completamente il modo con cui raccontare l’avventura umana nello spazio Raccontare una ricerca, una strategia, un processo decisionale, non è testimonianza passiva ma serve a capire e a indirizzare in tempo reale ciò che si sta facendo. E questo perché la narrazione è il modo che ha il nostro cervello di ottimizzare il suo funzionamento: una storia è un insieme di nessi tra fatti che li rendono più facili da memorizzare. Così l’apprendimento è più efficace perché parla la stessa lingua delle nostre connessioni neuronali, ne asseconda i bisogni fondamentali. Per questo ne riceviamo in cambio una sensazione di benessere e appagamento: quella che gli antichi greci riconoscevano e premiavano con l’assoluzione da ogni peccato. Letture consigliate:

  • “Il Cigno Nero” di Nassim Nicholas Taleb è un’analisi spietata di tutto ciò che pretende di governare l’economia mondiale, riconoscendone l’arbitrarietà, addentrandosi nel modo con cui percepiamo fattori come il rischio, la fortuna, il successo, l’impatto dell’inaspettato
  • “Life” di Keith Richards: il lungo percorso di vita del mitico “Rolling Stone” è una sequenza mozzafiato di eventi e connessioni altamente improbabili che lo hanno portato a vivere un’esistenza non solo di successo, ma soprattutto serena e fortunata.

Ettore Perozzi www.geocities.ws/ettoreperozzi www.libreriaassaggi.it

Scritto da: Ettore Perozzi il 16 Ottobre 2014

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