Perché è importante parlare di città sostenibili
A partire dall’inizio del nuovo millennio si è diffuso nel mondo scientifico l’uso del termine “Antropocene”, un’immagine potente volta a identificare una nuova era geologica caratterizzata dall’azione umana, che da secoli ha un impatto crescente sull’ecosistema terrestre.
Le continue emissioni e pressioni sul Pianeta hanno, infatti, causato fenomeni come il progressivo verificarsi di eventi climatici estremi, il riscaldamento globale, e la perdita costante di biodiversità, ponendo la necessità di un cambiamento per contrastare il degrado ambientale e le disuguaglianze sociali prodotte dal sistema socioeconomico in uso.
Le città, habitat per eccellenza dell’uomo, occupano un ruolo chiave in quella che viene definita “transizione sostenibile” – ossia la transizione verso un modello economico più rispettoso dell’ambiente e socialmente equo – in quanto rappresentano una delle principali cause di emissioni e sono, al contempo, tra le più esposte ai rischi derivanti da eventi climatici estremi.
Proprio per questa centralità, esse assumono rilevanza grazie alla loro capacità di attuare politiche di mitigazione volte a limitare l’impatto ambientale, e di adattamento, riducendo la propria vulnerabilità ai cambiamenti in atto.
È frequente, leggendo paper scientifici di varie discipline e report istituzionali, trovare un incipit che riporti come, nel 2050, circa il 70% della popolazione mondiale vivrà in ambienti urbani, e di come quindi diventi sempre più importante orientarne lo sviluppo futuro.
Questo dato va letto sempre in relazione alle differenze tra il Sud e il Nord globale, dove la percentuale di popolazione urbana è già notevole.
Non a caso, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs, Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030 adottati dalle Nazioni Unite nel 2015 dedicano esclusivamente uno degli obiettivi proprio alle “Città e Comunità Sostenibili”, invitando a rendere le città e gli insediamenti umani più inclusivi, resilienti e, appunto, sostenibili.
Ma, precisamente, cosa si intende con “città sostenibili”? Al giorno d’oggi è diventato comune sentirne parlare in discorsi e dichiarazioni istituzionali, al punto da suscitare critiche secondo cui la “sostenibilità” stessa sarebbe diventata un concetto di moda, rischiando così di perdere significato e valore.
Il termine ha infatti avuto un’ampia diffusione, incontrando anche gli interessi del mercato. Questo ha portato, da un lato, a una maggiore sensibilizzazione e diffusione del tema, ma, dall’altro, ha aumentato il rischio di operazioni di greenwashing e di opportunismo da parte di attori pubblici e privati che, in nome della “sostenibilità”, continuano a perpetuare lo stesso sistema estrattivo.
Sebbene sia fondamentale continuare ad esercitare un pensiero critico sulle soluzioni proposte per affrontare le maggiori sfide del nostro tempo – e sul concetto stesso di “transizione sostenibile” – oggi più che mai è necessario riscoprire il significato autentico della sostenibilità e ripartire da lì.
Non c’è sostenibilità senza giustizia sociale e ambientale, insieme
Il concetto di sostenibilità nasce dall’intenzione di lasciare un pianeta vivibile alle future generazioni. Questo senso di responsabilità si diffuse a seguito della pubblicazione, nel 1972, dello studio The Limits to Growth commissionato dal Club di Roma, il quale dimostrò che continuando con il sistema economico del tempo, il mondo sarebbe collassato entro il XXI secolo. Tale input ebbe come conseguenza la nascita del concetto di “sviluppo sostenibile”, supportato dal report Our Common Future, pubblicato nel 1987 dalla Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo (WCED), che esprime la necessità di bilanciare la crescita economica, l’uguaglianza sociale e la sicurezza ambientale incontrando le necessità del presente senza compromettere le future generazioni, ed è tutt’oggi ancora in voga, come testimoniano l’adozione di Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs) e l’emergere della cosiddetta “green economy”.
Parlando di future generazioni è importante, quindi, porre l’attenzione, oltre che sull’ambiente, anche sulla dimensione sociale ed economica. L’economia dei Paesi sviluppati ha avuto, infatti, un duplice risultato: da un lato l’ormai noto degrado degli ecosistemi terrestri interpretati come risorsa illimitata, dall’altro una profonda disuguaglianza sociale causata dallo sfruttamento dei territori e delle classi sociali più deboli. Questa disuguaglianza si può manifestare spazialmente sia a scala globale, tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo, sia a scala locale, tra periferie e centri urbani.
È necessario riconoscere che la crisi attuale, erede del sistema economico, è a tutti gli effetti una crisi politica, e porre l’attenzione sul fatto che, per avvenire in maniera sostenibile, la transizione stessa debba essere giusta e realizzarsi in egual misura in tutto il Pianeta. La transizione sostenibile ha un costo, ed è fondamentale che le differenze di capacità economiche non perpetuino ulteriormente le disuguaglianze strutturali, ma anzi vengano ridotte ascoltando le necessità dei Paesi meno sviluppati. È noto, infatti, che gli eventi climatici estremi colpiscono con maggiore intensità i contesti economicamente più fragili, i quali, paradossalmente, sono anche i meno responsabili della loro origine.
Anche a scala inferiore, in molte città queste differenze si possono osservare nelle capacità materiali delle persone: nell’avere la possibilità di prendersi ferie nei periodi più caldi, di comprarsi auto che rispettino i limiti di emissione imposti dalle misure di traffico limitato, vivere in quartieri con accesso a parchi e piscine pubbliche (o, se private, potersele permettere), e così via.
In quest’ottica, quindi, la città giusta e la città sostenibile vanno di pari passo.
Alcuni ingredienti fondamentali per le città sostenibili
Bernardo Secchi analizza l’evoluzione delle città europee nel XX secolo attraverso due fasi principali. Prima una crescita accelerata ha attirato milioni di persone verso i centri urbani, creando un intenso utilizzo dello spazio e nuove concentrazioni di popolazione. Successivamente, la dispersione ha comportato un’espansione urbana incontrollata nel territorio circostante, favorita dalla diffusione dell’automobile e di nuovi stili di vita.
Questo modello è oggi in crisi profonda. Ha favorito una frammentazione sociale, con quartieri ricchi e poveri sempre più distinti, e un consumo eccessivo di territorio naturale. In questo contesto quindi la pianificazione urbana è chiamata ad immaginare un nuovo modo di vivere la città, fondato sulla sostenibilità, appunto, sociale, ambientale ed economica che rispetti la complessità dei contesti e ricostruisca un rapporto equilibrato tra città e natura, in un’ottica “circolare”, riducendo il suo impatto.
Per fare ciò, sono molteplici i temi che vengono messi in campo, di natura più tecnica o politica, ma alcuni tra tutti ricorrono maggiormente. Questi non sono separati, ma parti interconnesse di un sistema urbano che richiede visione e integrazione di alcuni ambiti.
In primis, il tema della mobilità emerge come una delle questioni più spinose, in quanto, oltre a essere una delle principali cause di emissione, ha un impatto importante sulla vita dei cittadini. L’industria dell’automobile è stata per quasi tutto il Novecento sinonimo di progresso e velocità, e molte città si sono sviluppate partendo dal presupposto che ogni cittadino dovesse avere un proprio mezzo di trasporto. Oggi, per contrastare le emissioni e le concentrazioni di inquinanti, la presenza di auto è nettamente disincentivata, attraverso l’istituzione di “zone verdi” inaccessibili ai veicoli più inquinanti, il favoreggiamento di mezzi alternativi come la bicicletta e, ovviamente, il potenziamento del trasporto pubblico, contribuendo, nelle città che sono riuscite ad attuare queste misure, oltre a una diminuzione dell’impatto ambientale, ad un innalzamento della qualità della vita.
Fondamentale, e tema sempre più centrale nel dibattito pubblico attuale, è la biodiversità urbana, che può risultare a primo impatto l’esatto opposto della città. E invece, oggi più che mai, la presenza di biodiversità in ambiente urbano contribuisce in maniera decisiva alla nostra sopravvivenza, invitandoci a convivere con essa e riconoscerne, oltre che il valore, il diritto ad esistere. Si parla spesso di “servizi ecosistemici”, un termine convenzionale, che può risultare antropocentrico e che va usato con responsabilità (ricordiamoci sempre che la natura non è a nostro servizio), ma viene impiegato per spiegare e indagare le funzioni fondamentali che gli ecosistemi svolgono, rappresentando un beneficio per noi e per gli habitat. Ombra e raffrescamento, mitigazione del rischio idraulico, supporto alla salute mentale e assorbimento dell’inquinamento sono solo alcuni tra i più noti, e ci ricordano di quanto le politiche e le iniziative per rafforzare le infrastrutture verdi e blu meritino un ruolo rilevante nella pianificazione.
Infine, le città sono certamente tra le principali cause della produzione di rifiuti, a causa, sia della concentrazione elevata di persone, che di abitudini scorrette. Per questo motivo, è necessario agire sia all’origine del problema, riducendo la produzione e il consumo, che attuare misure volte ad aumentare le infrastrutture che si occupano di riciclo e prevedere modalità di riutilizzo creativo. Le città che investono in economia circolare, in sistemi di raccolta differenziata efficaci e in campagne educative promuovono una maggiore consapevolezza nei cittadini, favorendo un comportamento più responsabile, necessario in un mondo sempre più consumista.
Questi aspetti, ai quali possono aggiungersi l’efficientamento energetico degli edifici e la produzione di energia, per funzionare, hanno bisogno di essere affrontati sinergicamente: la città sostenibile non è fatta di pratiche isolate, ma di una visione univoca che indirizzi tutte le sfide.
La città sostenibile è comunità
Come evidenziato dalla nota urbanista degli anni ’60 Jane Jacobs, la città non può essere considerata come un’opera d’arte, e in quanto tale non può essere disegnata da scrivanie e uffici, lontano dalla vita urbana.
La città è fatta dalle persone che la vivono, che con le loro abitudini incidono profondamente sulla cosiddetta “impronta ecologica”. Per questo motivo, l’educazione e la sensibilizzazione di chi la abita assume un ruolo cardine nella definizione di città concretamente sostenibili.
Nessuna politica urbana, nessun investimento tecnologico, nessuna infrastruttura può essere vincente se non viene accompagnata da un cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi. Ed è proprio l’individualismo una delle prime questioni da scardinare, in quanto la vita urbana deve favorire la partecipazione del singolo alla vita pubblica, che a sua volta deve essere permessa da uno spazio urbano che non sia “neutro”, ma capace di accogliere e creare una comunità responsabile.
La scuola, i media, le istituzioni e lo stesso spazio pubblico possono diventare laboratori di cittadinanza attiva, stimolando la partecipazione.
È attraverso l’educazione e la condivisione che si può costruire un riconoscimento del valore dei beni comuni, e sviluppare pratiche di cura. Condividere l’importanza della presenza di spazi naturali, dell’operare quotidianamente la raccolta differenziata, del rinunciare a prendere la macchina per spostamenti che possono essere fatti in altro modo, per il benessere collettivo – e del Pianeta – è la chiave per far sì che le politiche attuate abbiano esito positivo. Per l’appunto, le macchine elettriche non possono essere preferibili all’utilizzo di mezzi come la bicicletta o il trasporto pubblico; la natura in città non può unicamente avere i connotati del prato tagliato all’inglese privo di biodiversità; il miglior impianto di smaltimento dei rifiuti non può essere più funzionale della riduzione dei consumi.
Inoltre, la dimensione collettiva agisce significativamente sulla consapevolezza delle comunità, che possono prendere parte attiva alle trasformazioni urbane, reagendo così alla città funzionalista in nome di una città “viva” sottoforma di pratiche di vita comune, e talvolta esperienze conflittuali, che ricordano quanto la questione urbana sia anche politica. Per mantenere la metafora artistica, citando l’urbanista Alberto Magnaghi, la città può essere infatti considerata un’opera d’arte prodotta collettivamente.
La sostenibilità non è solo sviluppo tecnologico, ma un atto politico
In conclusione, una città sostenibile è il risultato di una scelta che riconosce l’importanza di trasformare i modelli di sviluppo, di redistribuire risorse e opportunità equamente, nel rispetto della natura. Questo comporta spostare l’attenzione dai centri alle periferie, dai grandi eventi alle pratiche quotidiane, dalle rendite immobiliari alla qualità della vita, e affrontare i paradossi che la stessa transizione può portare.
Spesso si tende a pensare che la transizione ecologica delle città dipenda solamente da innovazioni tecnologiche: edifici smart, veicoli elettrici, intelligenza artificiale applicata alla gestione urbana. Ma la tecnologia è uno strumento, una parte della soluzione, e, per quanto fondamentale in questo contesto, non definisce le priorità e i valori, che richiedono un atto politico e un continuo confronto con un sistema complesso fatto di persone e preferenze personali. Come affrontato dalla filosofa Martha Nussbaum, le democrazie sopravvivono solo se i cittadini possono agire come pensatori autonomi ed empatici, e l’efficienza economica e lo sviluppo tecnologico devono essere accompagnati da una responsabilità collettiva verso il Pianeta.
La città sostenibile ha quindi un potenziale trasformativo estremamente rilevante, è un luogo dove si concentrano problemi, ma anche risorse, competenze ed energie. Rendere le città più giuste e più “verdi” non è solo un obiettivo ambientale, ma una nuova forma di democrazia urbana, fondata sulla solidarietà tra generazioni, tra territori, e tra specie. Solo così si potrà veramente parlare di sostenibilità: come una pratica quotidiana, come una scelta collettiva e come diritto di ogni persona.
Il corso “Città sostenibili” di Skilla a cura di Francesca Zanotto, Ricercatrice in Composizione Architettonica e Urbana, National Biodiversity Future Center, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, è uno strumento completo, essenziale e pratico per comprendere la sostenibilità urbana. Partendo dalle forme e caratteristiche degli spazi cittadini e dalle attività quotidiane che si svolgono in essi, è possibile, infatti, scoprire come migliorare l’ambiente che viviamo ogni giorno. Tutelare la qualità dell’aria, dell’acqua, proteggere la biodiversità in città e adottare nuovi modelli di produzione e consumo sono piccoli impegni con contribuire a una maggiore qualità della vita urbana.
Uno spunto da cui partire? Avvia il video “La regola del 3, 30, 300” e scopri quanto è verde la tua città!
Bibliografia:
Jacobs, J. The death and life of great American cities, Random house, 1961.
Magnaghi, A. Il progetto locale, verso la conoscenza di luogo, Bollati Boringhieri, 2010.
Nussbaum, A. Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, traduzione di Rinaldo Falcioni, Il Mulino, 2013, 2a edizione.
Secchi, B. La città del ventesimo secolo, Laterza, 2005.